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Nasce in Francia il 29 settembre 1879. A sedici anni ritorna in Francia dopo cinque anni passati in mare a bordo di una baleniera. Durante il viaggio incontra un anarchico: questo sarà l'inizio di una nuova vita per Jacob.
Inizia a rubare con la sua banda, soprannominata dai giornali I lavoratori della notte. Gli obiettivi dei loro furti erano ricche persone e borghesi: un vero attacco al potere. I frutti del loro lavoro venivano reindirizzati per finanziare opere libertarie e associazioni anarchiche. Nessuna cassaforte poteva resistergli ed erano imbattibili nei travestimenti.
Il 21 aprile 1903 Alexandre fu arrestato in seguito a una rapina andata male. Ricevette la grazia nel 1928 e si rifece una vita.
Si suicidò con un'iniezione di morfina il 28 agosto 1954 durante una festa in casa sua. Nella lettera d'addio, scrive: "... Ho vissuto un'esperienza piena di avventure e sventure, mi considero soddisfatto del mio destino. Dunque, voglio andarmene senza disperazione con il sorriso sulle labbra e la pace nel cuore. Ho vissuto. Adesso posso morire. P.S. Vi lascio qui due litri di vino rosato. Brindate alla vostra salute. "
Questa è la dichiarazione di Alexandre Marius Jacob pronunciata l'8 marzo 1905 durante il processo alla banda nel tribunale di Amien.
"Signori,
Il 21 aprile 1903 Alexandre fu arrestato in seguito a una rapina andata male. Ricevette la grazia nel 1928 e si rifece una vita.
Si suicidò con un'iniezione di morfina il 28 agosto 1954 durante una festa in casa sua. Nella lettera d'addio, scrive: "... Ho vissuto un'esperienza piena di avventure e sventure, mi considero soddisfatto del mio destino. Dunque, voglio andarmene senza disperazione con il sorriso sulle labbra e la pace nel cuore. Ho vissuto. Adesso posso morire. P.S. Vi lascio qui due litri di vino rosato. Brindate alla vostra salute. "
Questa è la dichiarazione di Alexandre Marius Jacob pronunciata l'8 marzo 1905 durante il processo alla banda nel tribunale di Amien.
"Signori,
Adesso sapete chi sono: un ribelle che vive del ricavato dei
suoi furti. Di più. Ho incendiato diversi alberghi e difeso la mia libertà
contro l’aggressione degli agenti del potere. Ho messo a nudo tutta la mia
esistenza di lotta e la sottometto come un problema alle vostre intelligenze.
Non riconoscendo a nessuno il diritto di giudicarmi, non imploro né perdono né
indulgenza. Non sollecito ciò che odio e
che disprezzo. Siete i più forti, disponete di me come meglio credete.
Inviatemi al penitenziario o al patibolo, poco m’importa. Ma prima di
separarci, lasciatemi dire un’ultima parola…
Avete chiamato un uomo ladro e bandito. Applicate contro di
lui i rigori della legge e vi domandate se poteva essere differentemente. Avete mai visto un ricco farsi
rapinatore? Non ne ho mai conosciuti. Io, che non sono né ricco né
proprietario, non avevo che queste braccia e un cervello per assicurare la mia
conservazione, per cui ho dovuto comportarmi diversamente. La società non mi
accordava che tre mezzi di esistenza: il lavoro,
la mendicità e il furto.
Il lavoro, al
contrario di ripugnarmi, mi piace. L’uomo non può fare a meno di lavorare: i
suoi muscoli, il suo cervello, possiedono un insieme di energie che deve
smaltire. Ciò che mi ripugnava era di sudare sangue e acqua per un salario,
cioè di creare ricchezze dalle quali sarei stato sfruttato. In una parola, mi
ripugnava di consegnarmi alla prostituzione
del lavoro. La mendicità è l’avvilimento,
la negazione di ogni dignità. Ogni uomo ha il diritto di godere della vita. Il diritto di vivere non si mendica, si
prende.
Il furto è la restituzione, la ripresa di possesso.
Piuttosto di essere chiuso in un’officina come in una prigione, piuttosto di
mendicare ciò a cui avevo diritto, ho preferito insorgere e combattere faccia a
faccia i miei nemici, facendo la guerra ai ricchi e attaccando i loro beni.
Comprendo che avreste preferito che mi fossi sottomesso alle vostre leggi, che
operaio docile avessi creato ricchezze in cambio di un salario miserabile, e che, il corpo sfruttato e il cervello
abbrutito, mi fossi lasciato crepare all’angolo di una strada. In quel caso non
mi avreste chiamato “bandito cinico”,
ma “onesto operaio”. Adulandomi mi
avreste dato la medaglia al lavoro. I preti promettono un paradiso ai loro
fedeli, voi siete meno astratti, promettete loro un pezzo di carta.
Vi ringrazio molto di tanta bontà, di tanta gratitudine.
Signori! Preferisco essere un cinico cosciente dei suoi diritti che un automa,
una cariatide.
Dal momento in cui ebbi possesso della mia coscienza, mi
sono dato al furto senza alcuno scrupolo. Non accetto la vostra pretesa morale
che impone il rispetto della proprietà come una virtù, quando i peggiori ladri sono i proprietari
stessi.
Ritenetevi fortunati che questo pregiudizio ha preso forza
nel popolo, in quanto è proprio esso
il vostro migliore gendarme.
Conoscendo l’impotenza della legge, o per meglio dire, della forza, ne avete
fatto il più solido dei vostri protettori. Ma, state accorti, ogni cosa
finisce. Tutto ciò che è costruito dalla forza e dall’astuzia, l’astuzia e la
forza possono demolirlo.
Il popolo si evolve
continuamente. Istruiti in queste verità, coscienti dei loro diritti, tutti
i morti di fame, tutti gli sfruttati, in una parola tutte le vostre vittime, si armeranno di un “piede di porco” assalendo le
vostre case per riprendere le ricchezze che essi hanno creato e che voi avete
rubato. Riflettendo bene, preferiranno correre ogni rischio invece
d’ingrassarvi gemendo nella miseria. La prigione… i lavori forzati, il
patibolo… non sono prospettive troppo paurose di fronte ad una intera vita di abbrutimento, piena di ogni
tipo di sofferenze. Il ragazzo che lotta per un pezzo di pane nelle viscere
della terra senza mai vedere brillare il sole, può morire da un momento
all’altro, vittima di una esplosione di grisou. Il muratore che lavora sui
tetti, può cadere e ridursi in briciole. Il marinaio conosce il giorno della
sua partenza ma ignora quando farà ritorno. Numerosi altri operai contraggono
malattie fatali nell'esercizio del loro mestiere, si sfibrano, s’avvelenano, si
uccidono nel creare tutto per voi. Fino ai gendarmi, ai poliziotti, alle
guardie del corpo che, per un osso
che gettate loro, trovano spesso la morte nella lotta contro i vostri nemici.
Chiusi nel vostro
egoismo, restate scettici davanti a questa visione, non è vero? Il popolo ha paura, voi dite. Noi lo
governiamo con il terrore della repressione; se grida, lo gettiamo in prigione;
se brontola, lo deportiamo, se si agita lo ghigliottiniamo. Cattivo calcolo, signori, credetemi. Le pene che infliggete non sono un rimedio
contro gli atti della rivolta. La repressione, invece di essere un rimedio,
un palliativo, non fa altro che
aggravare il male.
Le misure coercitive non possono che seminare l’odio e la
vendetta. È un ciclo fatale. Del resto, fin da quando avete cominciato a
tagliare teste, a popolare le prigioni e i penitenziari, avete forse impedito
all’odio di manifestarsi? Rispondete! I
fatti dimostrano la vostra impotenza. Per quanto mi riguarda sapevo
esattamente che la mia condotta non poteva avere altra conclusione che il
penitenziario o la ghigliottina, eppure, come vedete, non è questo che mi ha
impedito di agire. Se mi sono dato al furto non è per guadagno o per amore del
denaro, ma per una questione di principio, di diritto. Preferisco conservare la
mia libertà, la mia indipendenza, la mia dignità di uomo, invece di farmi l’artefice della fortuna del mio padrone.
In termini più crudi, senza eufemismi, preferisco
essere ladro che essere derubato.
Certo anch’io condanno
il fatto che un uomo s’impadronisca violentemente e con l’astuzia del furto
dell’altrui lavoro. Ma è proprio per questo che ho fatto guerra ai ricchi, ladri dei
beni dei poveri. Anch’io sarei felice di vivere in una società dove ogni
furto fosse impossibile. Non approvo il furto, e l’ho impiegato soltanto come
mezzo di rivolta per combattere il più iniquo di tutti i furti: la proprietà individuale.
Per eliminare un effetto bisogna, preventivamente,
distruggere la causa. Se esiste il furto è perché “tutto” appartiene solamente a “qualcuno”. La lotta scomparirà solo quando gli uomini metteranno in comune gioie e pene,
lavori e ricchezze, quando tutto apparterrà a tutti.
Anarchico rivoluzionario, ho fatto la mia rivoluzione, l’anarchia verrà!"Ho evidenziato alcuni punti perché ritengo siano un ottimo spunto di riflessione. Riflettiamo!
Frank il Rosso.
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