Giulio Cesare Vanini. - Filosofo (Taurisano, Lecce, 1585 - Tolosa 1619).
Entrato nell'ordine dei carmelitani a Napoli (1603), girovagò, col confratello Giovanni Maria Ginocchio, per i paesi riformati e quindi, insieme con lui, si convertì all'anglicanesimo (1612).
Sospetto agli anglicani per il suo spirito ribelle e "libertino", tornò al cattolicesimo e ottenne l'autorizzazione a pubblicare l'"Amphitheatrum Aeternae Providentiae divino-magicum, christiano-physicum, necnon astrologo-catholicum, adversus veteres philosophos, atheos epicureos, peripateticos et stoicos" (1615) e l'anno dopo i dialoghi "De admirandis naturae reginae deaeque mortalium arcanis".
Quest'ultima opera, edita da stampatore non cattolico, attirò forti sospetti su Vanini, in un'epoca in cui era ormai aperta, in Francia, la lotta ai "libertini". Vanini si spostò, sotto falso nome, da Parigi a Tolosa, dove fu arrestato a seguito di una denuncia anonima e, dopo un processo durato oltre sei mesi, condannato, come bestemmiatore e ateo, al taglio della lingua e al rogo. Esaltato come libero pensatore, detestato come ateo, annoverato fra gli scettici e fra i "libertini", Vanini, utilizzando ampiamente il pensiero di P. Pomponazzi, N. Machiavelli, G. Cardano e G.C. Scaligero, sviluppò un razionalismo radicale di stampo materialistico e meccanicistico in cui non c'è spazio per il soprannaturale della tradizione cristiana e dove le religioni sono ricondotte a origini politiche come creazioni delle classi dominanti.
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«Quanto a Dio non credo affatto che esista; quanto al Re non l’ho mai offeso; e quanto alla giustizia, che i diavoli, se ce ne sono, la mandino in rovina.»
Fonti: Enciclopedia Treccani |